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Storia del Baccarat: il gioco preferito di James Bond e dei nobili

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Oltre il tavolo verde: un viaggio nella storia affascinante del Baccarat

Il Baccarat non è solo un semplice gioco di carte, ma un'epica avventura che mescola lusso, intrighi e un pizzico di rischio calcolato. Nato come passatempo esclusivo per l'élite, il Baccarat simboleggia l'essenza del glamour dell’azzardo, dove ogni mano può ribaltare destini e creare leggende. In questo articolo ci immergeremo nelle sue origini e nelle evoluzioni che lo hanno reso un pilastro dei casinò moderni.

Dalle corti italiane ai casinò di Las Vegas: l'evoluzione di un gioco leggendario

La parabola del Baccarat è un viaggio epico attraverso continenti e secoli. Le sue radici affondano nel Medioevo italiano, dove si dice fosse giocato con tarocchi in cerchie ristrette di aristocratici. Da lì, migra in Francia, diventando il vizio preferito di re e cortigiani, per poi attraversare l'oceano e reinventarsi nei saloni fumosi di Monte Carlo e nelle luci al neon di Las Vegas. Ogni tappa ha mutato le sue regole – dallo Chemin de Fer aristocratico al Punto Banco accessibile – trasformandolo da gioco privato in spettacolo globale.

Aneddoti, miti e curiosità: scopri il lato nascosto del Baccarat

Dietro il velo di eleganza, il Baccarat cela storie incredibili. Si narra che re Carlo VIII di Francia ne fosse ossessionato al punto da rischiare il trono per una mano vincente. O che James Bond, l'icona immortale di Ian Fleming, lo scegliesse non per caso, ma per il suo velo di mistero e strategia sottile. Curiosità? Il nome "baccara" deriva dall'occitano per "zero", omaggio al valore nullo delle figure, un tocco poetico che rende ogni carta un enigma.

Cosa troverai in questa guida: un racconto che ti farà apprezzare ancora di più ogni mano

Questa guida non è un manuale arido, ma un viaggio che ti condurrà dalle origini oscure alle glorie hollywoodiane del Baccarat. Scoprirai le leggende fondative, le sue metamorfosi attraverso le epoche, gli aneddoti che lo rendono umano e il legame indissolubile con James Bond. Al termine, non vedrai più il tavolo verde come un semplice luogo di scommesse, ma come un palcoscenico di storia viva.

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1. LE ORIGINI DEL BACCARAT: UN GIOCO NATO IN ITALIA

Il Baccarat ha radici profonde in Italia. Nato come un passatempo misterioso tra nobili e leggende antiche, questo gioco ha viaggiato attraverso i secoli, mutando da rito arcano a icona dell'azzardo mondiale.

Il rito etrusco e la leggenda di Felix Falguiere: un'origine mitica

Le origini del baccarat affondano in un velo di leggenda, intrecciato con i riti pagani dell'antica Etruria. Il gioco trarrebbe infatti ispirazione da un antico rituale etrusco in cui una vergine, nuda e bendata, doveva lanciare un dado a nove facce per predire il suo destino. Un 8 o 9 l’avrebbe elevata al rango di sacerdotessa, un 6 o 7 le avrebbe concesso una vita normale, un risultato tra 1 e 5 l’avrebbe invece condannata alla morte per annegamento nel lago di Bolsena. Una leggenda, forse. Fu comunque nel tardo XIV secolo che questa leggenda si materializzò in un gioco concreto. Felix Falguiere, un nobile italiano – o forse un semplice giocatore d'azzardo di Ferrara – è infatti accreditato come l'inventore del "baccara". Falguiere, ispirato dai tarocchi rinascimentali, creò una variante per intrattenere l'aristocrazia locale, trasformando il dado etrusco in un mazzo di carte dove il valore massimo era il fatidico 9. La sua invenzione non era mera distrazione, ma un ponte tra misticismo antico e intrattenimento secolare.

Dal "Baccara" (Zero) alla nobiltà: la diffusione del gioco nel XV secolo

Il nome "baccara" nacque proprio da questa meccanica: le carte figura (re, regina, fante) valevano nulla. Dal cuore dell'Italia rinascimentale il gioco si diffuse rapidamente tra la nobiltà, passando da Ferrara a Venezia e poi alle corti milanesi. Nel XV secolo, con l'ascesa dei duchi e dei signori mercantili, il baccara divenne un rituale esclusivo. La vera svolta arrivò con i legami franco-italiani: intorno al 1490 il re di Francia Carlo VIII, dopo averlo conosciuto durante le sue campagne in Italia, importò il gioco oltre le Alpi. I soldati e i cortigiani francesi lo ribattezzarono "Baccarat" e tra i nobili transalpini divenne sinonimo di raffinatezza proibita.

Le prime regole: un gioco diverso da quello che conosciamo oggi

Le regole originarie del baccara erano un labirinto rispetto al baccarat snello di oggi. Giocato con un mazzo di tarocchi – 78 carte – il gioco prevedeva scommesse su due "banchi" contrapposti: il "Punto" (il giocatore) e il "Banco" (la casa o un altro partecipante). Ogni mano mirava a un totale vicino al 9, sommando i valori delle prime due carte (le figure a zero, gli assi a 1, e il resto nominale; solo la cifra delle decine contava, come un 7+8=5). A differenza del Punto Banco moderno, dove la casa decide le terze carte in modo rigido, il baccara originale era uno "Chemin de Fer" primitivo: i giocatori passavano il ruolo di banchiere, e la terza carta era opzionale, basata su un'intuizione personale o un "disegno" dal mazzo. Non c'era pareggio formale, e le puntate erano "alla francese", multiple e complesse. Questo rendeva il gioco un duello psicologico, dove bluff e astuzia contavano quanto la sorte, un lontano cugino del poker ma intriso di fatalismo etrusco. Solo secoli dopo, con l'evoluzione in Francia e l'arrivo in America, si sarebbe semplificato con il ritmo ipnotico che conosciamo, perdendo parte del suo caos mitico ma guadagnando accessibilità eterna.

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2. L'ASCESA IN FRANCIA: LO CHEMIN DE FER E IL GIOCO DEI RE

Il Baccarat fu importato in Francia dai soldati di Carlo VIII, trasformandosi rapidamente in un passatempo esclusivo delle corti reali. In terra francese il Baccarat non fu solo un divertimento, ma un simbolo di raffinatezza e potere, evolvendosi in varianti come lo Chemin de Fer e il Baccarat Banque. Questa ascesa lo consacrò come "gioco dei re", unendo strategia, rischio e glamour in un'unica ipnotica partita.

L'arrivo alla corte di Re Carlo VIII: il Baccarat diventa il gioco dell'aristocrazia

Siamo alla fine del Quattrocento, quando le armate francesi di Carlo VIII, re di Francia dal 1483 al 1498, conquistano l'Italia. Tra i bottini di guerra, oltre a opere d'arte e tesori, i soldati riportano un gioco misterioso: il Baccarat, appunto. Carlo VIII, noto per il suo amore per i piaceri e le avventure, lo adotta come intrattenimento preferito. Nel suo palazzo nobili e dame si riuniscono intorno a tavoli coperti di velluto, scommettendo su semplici mani di carte: il "punto" contro il "banco". Il Baccarat si diffonde come un virus tra l'aristocrazia, diventando un rituale sociale che mescola astuzia e fatalismo.

La nascita dello "Chemin de Fer" (Ferrovia): una variante più veloce e dinamica

Con l'avvento del XIX secolo, il Baccarat si evolve per adattarsi ai ritmi accelerati della Belle Époque francese. Nasce così lo "Chemin de Fer", una variante rivoluzionaria che prende il nome dalla "ferrovia" – simbolo di modernità e velocità – per la sua rapidità rispetto alla versione originale. Sviluppato nei casinò parigini e nelle residenze nobiliari, questo formato vede i giocatori alternarsi nel ruolo di banchiere, passando il "banco" come un treno in corsa, con puntate uno alla volta contro il mazzo. A differenza del Baccarat tradizionale, dove il banco è fisso e la casa prende una commissione, lo Chemin de Fer è un gioco "non bancario": i partecipanti scommettono direttamente l'uno contro l'altro, con il banchiere che rischia il proprio capitale. Le regole rimangono semplici – totale delle carte vicino a 9 vince – ma l'azione è frenetica, con colpi di scena che tengono tutti col fiato sospeso. Popolarizzato durante l'era napoleonica e oltre, diventa il preferito di avventurieri e intellettuali, da Honoré de Balzac a membri della corte di Napoleone III.

Il Baccarat Banque: la versione in cui il banco è fisso

Parallelamente allo Chemin de Fer, emerge il Baccarat Banque, una variante più strutturata che consolida il ruolo del banco come entità permanente. Introdotta anch'essa in Francia nel XIX secolo, questa modalità vede un giocatore designato come banchiere per l'intera serata, con una riserva di capitale fissa che resiste alle puntate multiple dei "punti" (i giocatori). La casa, se presente, incassa solo una commissione sulle vincite del banco, rendendolo un gioco equilibrato e strategico. Giocato con tre mazzi di carte per aumentare la casualità, il Baccarat Banque enfatizza la tensione del duello tra banco e giocatori, con regole ferree sul "draw" (la terza carta opzionale). Questa versione fiorisce nei casinò europei durante le guerre napoleoniche, diffondendosi da Parigi a Londra e Vienna. Ancora oggi è la base per il Punto Banco moderno, ma in Francia rimane un'eco della grandeur imperiale.

Perché il Baccarat divenne simbolo di lusso e status sociale

Limitato inizialmente alle corti reali e ai salotti privati, il Baccarat escludeva le masse, richiedendo non solo denaro ma anche un'etichetta impeccabile: smoking, guanti bianchi e conversazioni sussurrate. Nei casinò di lusso come quello di Enghien-les-Bains o il mitico Café de Paris, una partita era un biglietto per l'olimpo sociale, frequentato da duchi, banchieri e persino reali in esilio. La sua matematica, con probabilità quasi eque tra banco (1,06% house edge) e punto (1,24%), lo rendeva un test di nervi saldi, non di pura fortuna, attraendo intellettuali e strateghi. Inoltre l'assenza di complessità lo rendeva accessibile ai neofiti dell'alta società, mentre la posta in gioco (spesso migliaia di franchi) ne sigillava lo status. Dal Rinascimento al Novecento, il Baccarat incarnò il sogno francese di eleganza decadente.

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3. LA CONQUISTA DEL MONDO: DAL SUD AMERICA A LAS VEGAS

Il Baccarat salpa verso nuove conquiste nel XX secolo, approdando nelle Americhe e trasformandosi in un fenomeno globale. Attraverso Cuba e l'Argentina evolve nella variante Punto Banco e approda a Las Vegas grazie all'imprenditore Tommy Renzoni. Da lì il gioco si diffonde come un virus nei casinò mondiali, diventando l'ossessione degli high roller.

L'arrivo nelle Americhe: la diffusione del gioco attraverso Cuba

Il Baccarat approda nelle Americhe all'inizio del XX secolo, cavalcando le onde dell'immigrazione europea e del boom turistico caraibico. La prima scintilla si accende in Argentina, dove una variante locale chiamata "Punto Y Banca" affascina i frequentatori dei casinò di Mar del Plata. Da lì il gioco migra verso nord, raggiungendo Cuba negli anni '30 e '40, una Cuba che sotto la dittatura di Fulgencio Batista diventa un magnete per i giocatori statunitensi. L’Havana, con i suoi night club fumosi e i casinò affollati di gangster yankee e celebrità hollywoodiane, si trasforma nel crogiolo perfetto per l'evoluzione del Baccarat. Nei saloni del Tropicana e del Riviera, turisti e locali si contendono fortune su tavoli verdi, poi la Rivoluzione del 1959 minaccia di spegnere questa fiamma, ma è proprio lì, paradossalmente grazie a Fidel Castro, che il Baccarat riceve il suo battesimo americano definitivo. Profughi e operatori di casinò fuggono verso gli USA, portando con loro la cultura di un Baccarat senza vesti aristocratiche.

La nascita del "Punto Banco": la semplificazione che ha decretato il successo globale

Negli anni '40, tra i sigari e il rum dell’Havana, nasce il Punto Banco, la variante che catapulta il Baccarat dall'élite al mainstream. A differenza delle versioni europee come lo Chemin de Fer, dove i giocatori alternano ruoli e prendono decisioni sulla terzo carta, il Punto Banco è un capolavoro di semplicità: la casa gestisce sia il "Punto" (giocatore) che il "Banco" (banco), con regole rigide e automatiche che eliminano ogni scelta strategica. I partecipanti puntano solo su chi vincerà – Punto, Banco o pareggio – e il mazzo multiplo garantisce imprevedibilità pura. Sviluppato nei casinò cubani per attrarre i turisti americani stanchi di poker e blackjack, il Punto Banco è oggi la forma dominante del Baccarat mondiale.

Tommy Renzoni e il Casinò Sands di Las Vegas: l'introduzione del Baccarat negli USA

Il vero artefice della conquista americana è Francis "Tommy" Renzoni, imprenditore cubano di origini italiane e leggendario promotore di casinò. Negli anni '50 Renzoni scopre il Punto Banco durante una visita al casinò di Mar del Plata in Argentina, affascinato dalla sua fluidità e dal potenziale per i grandi tavoli. Fuggito dalla Rivoluzione Cubana, approda a Las Vegas nel 1959, portando con sé questa pepita d'oro. Il 20 novembre di quell'anno, al leggendario Sands Hotel & Casino – cuore pulsante della Strip, frequentato da Frank Sinatra e dal suo Rat Pack – Renzoni inaugura la prima tavola di Baccarat negli USA. L'impatto è elettrico: i high roller asiatici e latini, già affezionati al gioco, affollano i tavoli, scommettendo migliaia di dollari a mano. Renzoni, che pubblicherà anche libri sul Baccarat, non solo introduce la variante, ma la adatta al contesto vegasiano, con commissioni sul Banco per la casa.

Da gioco di nicchia a icona dei casinò di Macao e Las Vegas

Oggi il Baccarat non è più solo aristocratico: è un gioco che genera miliardi, con Macao e Las Vegas come sue capitali. Nell'ex colonia portoghese, ribattezzata "Las Vegas d'Asia", il gioco domina il panorama: l'88% dei ricavi dei 40 casinò – oltre 155 miliardi di patacas (19,3 miliardi di dollari) nel 2023 – proveniva dai tavoli di Baccarat, preferito dai clienti cinesi per la sua semplicità e le side bet esotiche.

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4. IL BACCARAT NELLA CULTURA POP: L'ICONICO GIOCO DI JAMES BOND

Il Baccarat ha trovato nella cultura popolare un ambasciatore insuperabile: James Bond. L'agente 007 creato da Ian Flemin non è solo un'icona di spionaggio e seduzione ma anche un maestro del tavolo verde, dove il Baccarat simboleggia l'eleganza british e il brivido del rischio. Dalle pagine dei romanzi ai set hollywoodiani, questo gioco ha scandito momenti epici della saga.

Ian Fleming e "Casino Royale": come il Baccarat divenne il gioco di 007

Ian Fleming, ex agente del controspionaggio britannico e appassionato di casinò, introdusse il Baccarat nel cuore della sua opera con Casino Royale (1953), il primo romanzo della serie dedicata a James Bond. Ambientato nel lussuoso casinò di Royale-les-Eaux, il libro ruota attorno a una partita ad alto rischio tra Bond e il terrorista Le Chiffre, un banchiere sovietico con debiti da saldare. Fleming dedica un intero capitolo, il nono intitolato The Game is Baccarat, a una descrizione minuziosa delle regole e dell'atmosfera: Bond opta per lo Chemin de Fer, scelta non casuale. Fleming, che aveva giocato a Baccarat nei casinò di Monte Carlo durante la Seconda Guerra Mondiale, vedeva nel gioco un riflesso del suo eroe: un'aristocrazia del caso, dove la fortuna si intreccia con l'intuizione e il bluff psicologico. Bond, con il suo smoking impeccabile e il suo "shaken, not stirred", trasforma la partita in un duello spionistico, vincendo 50 milioni di franchi e salvando la missione. Casino Royale non solo rese il baccarat il gioco prediletto di 007 ma lo elevò a status symbol, influenzando generazioni di lettori e, successivamente, i film.

Le scene memorabili: James Bond al tavolo da Baccarat (Chemin de Fer)

Nei film di James Bond le partite a Baccarat sono momenti di tensione strategica, dove le carte rivelano tanto dei personaggi quanto delle trame. Ecco alcune delle scene più iconiche.

Dr. No (Licenza di uccidere)

Nel debutto cinematografico di Sean Connery come 007 (1962) il Baccarat irrompe nella scena d'apertura al Le Cercle di Londra. Bond sfida la misteriosa Sylvia Trench (Eunice Gayson) a una mano di Chemin de Fer. Con un "Bond... James Bond" sussurrato mentre firma l'assegno perdente, la sequenza stabilisce il tono. È un'introduzione perfetta, che mescola azzardo e seduzione.

Thunderball (Operazione tuono)

Nel quarto film (1965), Bond affronta Emilio Largo (Adolfo Celi) in una partita ad alto rischio nelle Bahamas. Mentre indossa lo smoking e sorseggia champagne, 007 sventa un complotto nucleare scommettendo contro Largo. La scena, con le sue inquadrature ravvicinate sulle carte e le occhiate, sottolinea il controllo bondiano: vince non solo la mano, ma anche informazioni cruciali.

Al servizio segreto di Sua Maestà

Con George Lazenby come interprete (1969) Bond torna a Royale-les-Eaux per una partita contro Draco, il padre di Tracy (Diana Rigg). Ambientata in un casinò svizzero innevato, la sequenza gioca sul doppio bluff: Bond perde intenzionalmente per guadagnarsi la fiducia del suocero putativo.

GoldenEye

Nel film con Pierce Brosnan (1995) Bond sfida Xenia Onatopp (Famke Janssen) in un casinò di Monte Carlo. La partita a Baccarat è un duello sensuale e sadico: Xenia, con il suo gemito di piacere a ogni carta, flirta mentre perde contro le due figure reali di Bond (re e regina).

Perché Bond gioca a Baccarat? Un simbolo di eleganza, controllo e rischio calcolato

Il Baccarat non è un caso per Bond: è l'essenza del suo personaggio. Premia l'intuizione e il sangue freddo, qualità perfette per uno 007 che naviga tra spie e tradimenti. Fleming lo elesse perché, a differenza del poker, il baccarat è "pulito": nessuna mano complessa, solo decisioni binarie che specchiano la vita dell'agente, dove ogni mossa è un rischio calcolato contro l'ignoto. E pop l’eleganza: il tavolo ovale, i croupier in livrea, il fruscio delle carte evocano il jet set degli anni '50-'60, allineandosi al guardaroba sartoriale di Bond.

Il passaggio al Poker: perché nei film più recenti Bond gioca a Texas Hold'em

Con l'era Daniel Craig il Baccarat cede il passo al Texas Hold'em, come nel reboot Casino Royale (2006), dove Bond duella con Le Chiffre (Mads Mikkelsen) in una maratona di poker ad alto rischio. Questa scelta, che ha generato dibattiti tra i puristi, non tradisce Fleming ma riflette l'evoluzione culturale: negli anni 2000 il poker infatti esplose grazie a tornei come il World Series of Poker, con il Texas Hold'em che divenne il re dell'azzardo mediatico. I produttori, guidati da Barbara Broccoli, optarono quindi per il cambio per cavalcare l'onda e rendere la scena accessibile al pubblico giovane, sostituendo lo Chemin de Fer con un gioco più "americano" e bluffabile, ideale per mostrare la vulnerabilità di un Bond "umano".

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5. ANEDDOTI E STORIE LEGGENDARIE: GRANDI VINCITE E PERDITE MEMORABILI

Il "Greek Syndicate": il gruppo che sfidò i casinò di Parigi e vinse

Negli anni '20 e '30 del Novecento i casinò di Parigi, Monte Carlo e Cannes tremavano al solo nominare il "Greek Syndicate", un cartello di cinque greci implacabili che trasformò il Baccarat in un'arte della conquista. A guidarli era Nicolas "Nicky the Greek" Zographos, un ex banchiere di Smirne dal carisma magnetico, affiancato da Eli Eliopulo, Francois Andre, Zaret Couyoumdjian e Anthanase Vagliano. Insieme formavano una macchina da guerra: controllavano la "banca" del gioco, scommettendo somme astronomiche e vincendo regolarmente milioni di franchi, tanto che il governo francese impose una tassa del 25% sulle loro vincite. La loro strategia era un mix di abilità matematica e psicologia: Zographos, maestro del bluff, leggeva gli avversari come libri aperti, mentre il gruppo ruotava nei ruoli per mantenere il controllo del tavolo. Una notte memorabile al Casino de Paris vide il Syndicate vincere 12 milioni di franchi in una singola sessione, equivalenti a decine di milioni di euro odierni. Ma non fu solo fortuna: il loro sistema prevedeva di "bancare" contro i ricchi turisti, prosciugandoli con puntate progressive. Quando il fisco francese alzò le tasse nel 1938, riducendo i limiti al baccarat del 50% per favorire la roulette, il Syndicate minacciò di abbandonare la Francia, portando quasi alla chiusura di un casinò.

Akio Kashiwagi, "The Warrior": il giocatore high roller e le sue scommesse milionarie

Akio Kashiwagi, il "Guerriero" del baccarat, era un colosso: un magnate immobiliare giapponese che negli anni '80 e '90 irruppe nei casinò come un tifone, scommettendo fino a 200.000 dollari a mano e giocando sessioni da 80 ore filate. Con un patrimonio stimato in miliardi di yen, Kashiwagi non era un dilettante: amava il rischio puro, definendolo "la via del samurai moderno". Una delle sue storie più celebri è la sfida lanciata a Donald Trump nel 1990 al Trump Plaza di Atlantic City. Kashiwagi arrivò con una valigia di contanti e una promessa: giocare fino a perdere o vincere 10 milioni di dollari. In quattro giorni, salì a +7 milioni, ma poi la ruota girò. Perse tutto e oltre, lasciando sul tavolo 10,2 milioni di dollari in una maratona che Trump definì "la più folle della mia vita". Non fu l'unica epica: in Australia, al Diamond Beach Casino, vinse quasi 20 milioni di dollari, portando l'insegna sull'orlo del fallimento. Il suo destino fu tragico: assassinato nel 1992 nella sua casa di Tokyo con 17 ferite da katana, in un omicidio irrisolto che molti legano ai debiti di gioco. Kashiwagi incarnava il dramma del Baccarat: un guerriero che conquistava fortezze per poi crollare sotto il peso della propria audacia.

Phil Ivey e l'Edge Sorting: la controversia che ha sconvolto il mondo del Baccarat

Phil Ivey, uno dei pokeristi più famosi di sempre, entrò nella storia del Baccarat non con la fortuna, ma con l'ingegno. Nel 2012, insieme alla giocatrice di vantaggio Cheng Yin "Kelly" Sun, Ivey mise a segno un colpo da 20 milioni di dollari in due casinò: il Crockfords di Londra e il Borgata di Atlantic City. La tecnica? L’edge sorting, un metodo che sfrutta imperfezioni nei bordi delle carte per identificarle senza barare apertamente. La coppia richiedeva mazzi specifici con pattern asimmetrici sul retro, poi convinceva il croupier a ruotare le carte durante il gioco (senza toccarle direttamente), rivelando pattern vincenti. Risultato: vincite record, come 9,6 milioni al Borgata in una notte. Il Crockfords rifiutò di pagare 7,7 milioni di sterline, scatenando una battaglia legale che arrivò fino alla Corte Suprema britannica nel 2017, dove Ivey perse, con il giudice che definì l'edge sorting "non una strategia legittima". Il Borgata gli fece causa per 15 milioni, inclusi danni, e vinse nel 2020. Ivey si difese: "Non ho imbrogliato, ho solo usato le debolezze del sistema". La controversia divise il mondo del gambling: per alcuni è un genio che ha svelato falle nei casinò, per altri un truffatore.

Kerry Packer

Negli anni '90, al MGM Grand di Las Vegas, Kerry Packer, il magnate australiano dei media, perse 20 milioni di dollari in una singola sessione di Baccarat, scommettendo un milione a mano. Eppure Packer era un fenomeno: in un'altra notte al Crown Casino di Melbourne, vinse 7 milioni in poche ore, lasciando i croupier attoniti. La sua filosofia? "L'azzardo è come gli affari: rischi tutto o non giochi".

Nick Dandolos, tutto in una mano

Poi c'è Nick Dandolos, noto come "Nick the Greek", cugino spirituale del Syndicate: negli anni '40, a Las Vegas, vinse 500.000 dollari in sei mesi al Horseshoe Casino – equivalenti a 15 milioni oggi – solo per perderli tutti in una mano fatale contro un giovane Johnny Moss. La sua battuta leggendaria? "Il gioco è bello finché dura, e il mio è durato una vita intera".

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